“Sperimentare l’equilibrio vuol dire accettare l’idea della caduta”
MZ
L’equilibrio non si conquista, si crea
Siamo abituati a pensare all’equilibrio come ad uno stato di pace e armonia. Un luogo tranquillo dove tutto si tiene secondo una logica di quieta stabilità.
Eppure quando abbiamo imparato a camminare, quindi a trovare un equilibrio in una nuova verticalità, non è stata impresa facile. Abbiamo dovuto affrontare diverse sfide: trovare una radice forte al suolo, sollevarci, sentire la spinta dal terreno attraverso i piedi, elevarci, aggrapparci momentaneamente da qualche parte con una mano, sollevare un piede, cadere. Per imparare a rimanere in equilibrio siamo passati attraverso la paura di non farcela e abbiamo vissuto improvvisi sbilanciamenti, prese di velocità, rovinose cadute.
E quando abbiamo iniziato nei primi anni di vita a procedere un passo dopo l’altro probabilmente non ci era nemmeno così chiaro del come ci fossimo riusciti. Ci sembrava quasi una magia, un’intuizione di un momento piuttosto che qualcosa di conquistato per sempre, tant’è che quando si impara a camminare il problema non è trovare l’equilibrio ma mantenerlo durante un percorso.
Questa premessa per dire che l’equilibrio come conquista definitiva di uno stato è un’utopia. Se è vero che l’universo fa di tutto per mantenere i sistemi in uno stato di equilibrio è vero anche che tutto in natura si muove incessantemente.
Per questo motivo dobbiamo tanto a quella prima esperienza di equilibrio, a quel primo sbilanciamento, che ci ha portato in una crisi prima e in una grande conquista evolutiva poi.
Come mettere insieme quindi il movimento costante tipico della danza con il concetto di equilibrio?
L’equilibrio dinamico
Per comprendere la nozione di equilibrio nella danza dobbiamo allora fare un salto concettuale che ci porta a considerarlo non tanto come sistema statico quanto come processo, come risultato momentaneo.
L’equilibrio dinamico infatti non è una condizione che esiste di per sé e che può essere conquistata una volta per tutte ma è uno stato di continua ricerca: è il continuo “tendere a” la quintessenza dell’equilibrio, tutt’altro che un’esperienza di pace.
A ben pensarci non è facile definirlo percettivamente perché quando sentiamo di averlo trovato, magari salendo sulla punta dei piedi, ci accorgiamo che in realtà quel punto sul quale avevamo consegnato il nostro peso si è già spostato e ci porta già in una nuova sfida di ribilanciamento e riorganizzazione.
Va anche detto che l’equilibrio è un processo che riguarda tutte le parti. In una situazione ad esempio di fuori asse, l’intero sistema corpo, collabora a questa ricerca: dal piede che cerca radicamento, alle caviglie che si stabilizzano, al tronco che si eleva fino alla mano e all’ultimo dito della mano.
Anche in un movimento apparentemente semplice come quello del camminare, spostando il peso da una gamba all’altra, modifichiamo continuamente il nostro punto di equilibrio che viene perso e riconquistato e poi di nuovo perso e riconquistato a seconda dell’assetto con cui il nostro corpo si orienta e si muove in un progetto spaziale.
Nella danza tutti i movimenti richiedono quindi una continua riorganizzazione dell’equilibrio. Il danzatore sa che all’interno di una coreografia i punti di equilibrio si sposteranno e che tutto il corpo, in ogni istante, dovrà essere pronto ad una nuovo disegno di equilibrio per garantire la stabilità del sistema.

Le pratiche che potenziano l’equilibrio nella danza consentono al danzatore di entrare in una sensibilità molto fine, non solo perché ci consentono di sperimentare come il corpo si organizza man mano che il punto di equilibrio si sposta con il nostro peso e il nostro movimento ma anche perché ci dicono qualcosa di interessante sulle dinamiche della nostra vita.
Non esiste la quiete nell’equilibrio, non possiamo contare su una situazione esistenziale pacificata, ferma, sempre uguale a se stessa. La stasi è dannosa perché non consente di integrare nuove esperienze e quindi nuovi programmi.
In ogni istante della nostra vita si manifestano dei cambiamenti fisici, emotivi, spirituali, ambientali che ci costringono a ricalibrare continuamente e a rivedere gli assetti precedenti, e la nostra vita non è altro che una serie di azioni e intenzioni tenute insieme da un equilibrio dinamico che non smette di porci innanzi a delle sfide evolutive.
Se vogliamo essere danzatori della vita quindi, dobbiamo accogliere tutti i momenti di equilibrio e di disequilibrio e contemplare persino la bellezza della caduta, che è il punto dove perdendo l’equilibrio ne facciamo probabilmente una più intima esperienza.
Di fatto uscire da uno stato di equilibrio conosciuto o addirittura cadere, ci regala ogni volta una nuova esperienza di riconquista dell’equilibrio e quindi di fatto una nuova acquisizione.
Ecco che allora l’equilibrio non corrisponde ad un’oasi di quieta spensieratezza ma rivela piuttosto quella capacità di ricalibrare in modo intelligente e resiliente gli assetti che non sono più validi, utili, funzionali, adatti al movimento presente, alla vita presente.
Così una nuova esperienza di sbilanciamento ci porterà in una nuova esperienza di equilibrio che ci renderà sempre più stabili, forti, resilienti.
Fuori da un equilibrio statico che ci imbriglia in una zona di comfort potremmo allora accogliere la meraviglia e la sorpresa dell’equilibrio dinamico.
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